Scopri Canicattì

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Casa natale e Santuario

Padre Gioacchino La Lomia

Nato a Canicattì nella casa all’angolo di Via G. Galilei n. 70, il 3 marzo 1831. Settimo figlio di Nicolò e Eleonora La Lomia, figlia del barone La Lomia, rinunziò a tutto per indossare l’abito francescano. Il 12 dicembre 1852 presso la Chiesa dei cappuccini di Agrigento, veste l’abito di novizio cappuccino cambiando il nome di Gaetano in quello di Gioachino Fedele. Il 2 giugno 1855 presso la Chiesa della SS. Trinità alla Magione a Palermo, riceve l’ordinazione sacerdotale. Il 5 novembre 1853 nella chiesa di Agrigento, metteva i voti solenni consacrandosi a Dio nella religione dei Cappuccini.
Completò gli studi filosofici e teologici a Caltanissetta e nell’aprile del 1861 viene nominato vicario del Convento di Sutera.
Desideroso di realizzare pienamente l’umiltà, la penitenza, la preghiera e la povertà di San Francesco espresse la volontà di andare nelle missioni.
Nel marzo del 1868 sbarca come missionario in Brasile e durante la guerra tra questa nazione ed il Paraguay venne insignito della medaglia d’argento al valore militare. In Paraguay, per gli indios costruisce 13 villaggi.
La sua salute malferma lo costrinse a tornare in Italia, (dopo 12 anni) nel 1880 e quindi in Sicilia, a Messina, a Sortino e dopo a Canicattì, il quale riuscì con molti sacrifici a fondare il convento dei cappuccini presso la chiesetta della Madonna della Rocca.
Trascorse la sua vita fra penitenze e il suo profumo di santità si sentiva ovunque conquistandosi l’affetto e la venerazioni di tutti oltre dai canicattinesi anche dagli abitanti dei paesi vicini. Innumerevoli sono le grazie ricevute per sua intercessione.
Morì serenamente il 30 luglio del 1905, la sua tomba si trova nella Chiesa della Madonna della Rocca ed è meta di numerosissimi fedeli. Padre Gioacchino è stato riconosciuto “Venerabile” secondo il decreto sull’eroicità delle virtù del 23 aprile 2002 da Santo papa Giovanni Paolo II, mentre è tutt’ora in corso la causa di beatificazione.

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Storico simbolo Canicattinese

Torre dell'orologio

Si presume che uno dei Bonanno dovette far costruire nella piazza antistante e di fronte la dimora signorile una torre alta una quindicina di metri che dominava il sottostante nucleo abitativo che si era andato formando e che, veniva a trovarsi di fronte la collina che s’alzava verso borgalino e sul fianco della quale Canicattì si era sviluppata.

Una torre simile, indicata dai canicattinesi semplicemente come l’Orologiu, fu realizzata dall’ing. Luigi Portalone che nelle vesti di direttore dei lavori nell’arco di pochi anni dal 1930 al 1932 la fece edificare nel luogo dove si trovava la vecchia torre, restaurata nel 1766 e abbattuta nel periodo fascista.

La torre è, quindi, un monumento antichissimo, e non a caso preso spesso a emblema della nostra città.

Anche la nuova Torre civica è una splendida realizzazione architettonica.

La sua importanza era certo maggiore nei secoli scorsi, quando il campanile senza chiesa scandiva gli eventi più significativi di un’intera comunità: si suonavano le campane anche per annunciare pubbliche riunioni e incontri.

Della torre plurisecolare, nata con la città, restano appunto soltanto le due campane risalenti al Seicento.

La campana maggiore fu posta nella torre per opera del barone Giacomo II nel 1668, la minore fu invece offerta dal figlio Filippo III, che fece incidere una frase latina in cui si afferma solo che don Filippo Bonanno, barone di Canicattì e principe di Roccafiorita, si prodigò a farla realizzare nell’Anno del Signore 1687.

La più grande delle due campane reca un interessante motto in latino, dettato da Giacomo II Bonanno che vuol significare “che la misurazione del tempo sia augurio di buoni anni”.

E per molti anni la Torre dell’Orologio ha scandito lo scorrere del tempo, accompagnando la crescita e l’evoluzione della nostra città.

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STORICO EDIFICIO

Teatro sociale

Nel 1874 l’ing. Francesco Tabasso aveva presentato al Comune di Canicattì un progetto per la costruzione di un teatro, tale progetto, non piacque all’amministrazione comunale.
Nel 1883 un nuovo progetto fu presentato dall’ing. Dionisio Sciascia, progettista dei teatri di Agrigento e Racalmuto ma anche questo progetto non andò in porto.
Nel 1889 Ernesto Basile ottiene a seguito di bando, l’incarico per la progettazione di un teatro comunale, il cosiddetto “Teatro Sociale”.
Per il Teatro redige due progetti perchè il primo, che prevedeva una sala parallelo alla strada deve essere abbandonato per la riduzione del lotto a disposizione.
L’elemento che risulta maggiormente sacrificato è il palcoscenico che anzichè avere la forma rettangolare, assume un contorno trapezoidale.
Anche il prospetto viene riconfigurato mantenendo comunque sia la veste di un classicismo neocinquecentesco, sia gli elementi tipici del linguaggio basiliano: le pannellature su cui sono come ritagliate le finestre; i bugnati angolari delle strutture rientranti e i pilastri con lesene doriche e paraste corinzie, che delimitano rispettivamente i tre cancelli in ferro battuto dell’ingresso e la trifora vetrata dell’ampia balconata del piano superiore.
Solo i pilastri non sono quelli ricorrenti nel suo linguaggio perchè non si sviluppano continui ma vengono ripetutamente interrotti dai marcapiani e dal coronamento. Nel 1927 ospitò Luigi Pirandello con la sua compagnia che rappresentarono i Sei personaggi in cerca d’autore. Alla fine della seconda guerra mondiale, una giunta guidata dal comunista Francesco Cigna distrusse gli interni (compresi i palchi) e trasformò il tutto in sala cinematografica.

Alla fine degli anni ’50 il teatro fu abbandonato a se stesso; dopo 45 anni di abbandono e dopo varie proteste dei cittadini, il teatro è stato restaurato grazie all’intervento di una Commissione straordinaria che amministrò il Comune dal 2004 al 2006 e che reperì le risorse finanziarie necessarie e avviò i lavori. La consulenza artistica è stata affidata all’attrice Sandra Milo, che il 20 dicembre 2009 ha inaugurato la riapertura alla presenza del presidente della Regione Siciliana e di artisti come Leopoldo Mastelloni, Alda D’Eusanio ed Enrico Lucci delle Iene. Oggi l’attrice si è dimessa.

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STORICO SIMBOLO CANICATTINESE

Fontana Nettuno

Nel 1619, Giacomo Bonanno Colonna figlio di Filippo II Bonanno, divenne barone di Canicattì, di Ravanusa e di Moltalbano, proprio di quest’ultima terra nel 1623 fu nominato duca dal re di Spagna.
Egli trasformò e abbellì il volto del paese che ornò di magnifici monumenti.
Eretta nel 1633 e’ una delle tre fontane che il Duca Giacomo I Bonanno Colonna fece costruire per abbellire la citta’.
Raffigura Nettuno dio del mare, alle cui spalle troneggia la statua della Fama (l’Angilu) a cui in seguito sono state applicate, inopportunamente, un paio di ali.
Essa stava nel centro della piazza, che anticamente era molto ampia e arrivava fino al limite della chiesa di Santa Rosalia, chiesa ora sconsacrata.
La monumentale fontana che vi si ergeva era a tre ordini, adorna di una vasca, della statua di Nettuno, di altri emblemi, e in alto del simulacro della Fama.
Spargeva acqua in abbondanza ed era chiusa da cancelli di ferro.
Sul prospetto della torre campanaria del Purgatorio venne collocato ai primi dell’Ottocento, quando la chiesa, tra il 1802 e il 1807, venne costruita a spese del barone Gaetano Adamo.
Il Nettuno è stato sempre chiamato dal popolo Petrappaulo; la Fama, invece, l’angilu. 
Il nome di Petrappaulo datogli dal popolo è la storpiatura di pietra che parla, traduzione del lapis loquax dell’epigrafe latina, che campeggia tra l’edicola della Fama e la sottostante edicola del Nettuno.
Spiegata un po’ liberamente, l’epigrafe dichiara che la Fama, scolpita nel marmo, si è fermata e non è potuta andare più in giro a predicare la grandezza del duca Giacomo I Bonanno Colonna; ma, pur così ferma, ne attesta ancor più la gloria, poiché è la stessa pietra che parla, che testimonia cioè la magnificenza del duca.
Le immagini di questa fontana sono state adottate come stemma comunale.

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Sua maestà

Chiesa Madre

Dietro la Piazza XXIV Maggio, costeggiando alcuni edifici, si giunge alla Via Duomo, una gradinata sale al sagrato della Chiesa San Pancrazio o Chiesa Madre.
I lavori di costruzione iniziarono nella prima metà del secolo XVIII, grazie all’iniziativa del barone Gaetano Adamo e del fratello don Carlo e possono essere considerati conclusi intorno al 1765. La chiesa viene consacrata il 25 maggio 1874.
Nel 1908 fu innalzato l’attuale prospetto, progettato nel 1901 da Ernesto Basile, caratterizzando con la sua bianca ed imponente mole il panorama della città. La chiesa di stile rinascimentale è dedicata a San Pancrazio di Antiochia, Patrono di Canicattì, il cui culto risale, originariamente il 9 luglio secondo il calendario ortodosso, mentre, oggi viene festeggiato il 3 aprile come da liturgia romana.
La Chiesa l’8 dicembre 1965 venne, con decreto del vescovo di Agrigento mons. Giuseppe Petralia, elevata a Santuario del Sacro Cuore di Gesù. L’unica ampia navata a croce latina, si dilata per mezzo delle grandi cappelle laterali ed il transetto, su cui si affacciano le abside quadrate (tre), custodiscono pregevoli opere d’arte risalenti anche al periodo bizantino. Nella parete dell’altare maggiore vi è un grande mosaico la cui realizzazione risale al 1973 e raffigura un’imponente immagine del Sacro Cuore di Gesù in mezzo alla Madonna ed agli apostoli.

All’interno di una nicchia, posta nel primo pilone a destra, è custodito un Ecce Homo (originariamente custodito nella Chiesa della Badia), in alabastro rosa, detta “pietra incarnita”, le cui venature richiamano lividi ed ematomi.

Nella seconda cappella a destra, entro un’edicola neogotica, è sistemata la statua lignea della B. M. V. delle Vittorie del 1882. Nella stessa cappella si trova una significativa tela settecentesca raffigurante S. Giuseppe, qui attribuito a Francesco Narbone. Nel transetto destro è collocato il sepolcro di mons. Angelo Ficarra, vescovo di Patti ed insigne figura di pastore e di letterato. Di fronte si apre la cappella del SS. Sacramento con un’articolata custodia lignea, intagliata e dorata in stile barocco, assemblata nella metà del secolo scorso con elementi secenteschi e di diversa provenienza. Il coro è stato realizzato nel presbiterio dal palermitano Lorenzo Patti nel 1796. Alle pareti del cappellone centrale sono appesi alcuni dipinti tra cui spiccano una B. M. V. del Lume, con ricca cornice, dipinta nel 1734 da un artista vicino all’agrigentino Francesco Narbone e l’Apparizione della Vergine a S. Gaetano, dipinta nel 1770 da saccense Giuseppe Tresca.
Dalla chiesa B. M. V. del Carmelo provengono due dipinti: la B. M. V. dell’Itria, firmata da Gaetano Guadagnino nel 1809, e la Sacra Famiglia, capolavoro del racalmutese Pietro D’Asaro del 1633.
In quest’ultimo, in primo piano è raffigurato un cesto di frutta che costituisce una delle prime nature morte in Sicilia. Nella cappella del Crocifisso, terza a sinistra, è conservata un’Addolorata, firmata da Francesco Sozzi nel 1783.Nella nicchia della prima cappella a sinistra è conservata la statuetta della Madonna delle Grazie (risalente al periodo bizantino), la tradizione vuole che sia stata rinvenuta tra i ruderi di Vito Soldano.
Si tratta di una copia tardo cinquecentesca della Madonna di Trapani (un’altra copia quattrocentesca è stata trafugata dalla sagrestia poco più di un decennio or sono) fortemente manomessa. Il vestibolo dell’ingresso laterale sinistro è stato adattato a battistero, qui trova posto un fonte battesimale lapideo settecentesco con lo stemma dei Bonanno, signori di Canicattì.

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